La vita nei campi di concentramento era un vero e proprio inferno.
Le condizioni a cui venivano sottoposti i deportati erano proibitive, a partire dal viaggio in treno che spesso durava giorni e giorni e che li sottoponeva a sofferenze e privazioni indicibili.
Una volta arrivati a destinazione, i prigionieri venivano divisi in due categorie: i più deboli erano portati direttamente a morire nelle camere a gas, mentre quelli in grado di lavorare erano condotti in una stanza dove, spogliati e rasati, entravano nelle docce, da cui sgorgava solo acqua gelida o bollente.
I funzionari del campo davano loro delle divise a righe, fetide e sgualcite, e delle scarpe spaiate e scomode.


Aveva inizio allora la registrazione. Si annotavano le generalità del prigioniero e l’avambraccio sinistro di ognuno di loro veniva marchiato in modo indelebile con un numero, che era inoltre stampato su una brandello di stoffa e cucito sui pantaloni e sulla blusa dei detenuti; affianco era posto un triangolo colorato, di colore diverso a seconda del motivo dell’arresto e dell’etnia del prigioniero.
Successivamente i prigionieri venivano isolati per 6/8 settimane, allo scopo di prevenire la diffusione di malattie, e di distruggere psicologicamente i segregati, facendo intendere loro quali feroci leggi vigevano nel campo.
I prigionieri erano sottoposti continuamente a faticose esercitazioni. La sveglia era alle quattro del mattino e i deportati erano costretti, con imprecazioni e percosse, a lasciare i giacigli il prima possibile per iniziare il lungo appello, che si svolgeva nel piazzale principale, all’aperto, e poteva durare anche svariate ore, non importava se col gelo o con il caldo torrido.
I detenuti lavoravano in diversi settori, principalmente nella produzione di articoli per le industrie belliche naziste e nell’ampliamento dei campi stessi. Chi non era abbastanza abile e veloce era punito con violenza, tormentato da continui insulti, spesso mandato alle camere a gas.

I detenuti ricevevano tre pasti al giorno (mattino,pomeriggio e sera), il cui valore nutritivo era abbondantemente al di sotto di quanto necessario per sostenere la durissima vita che tutti erano costretti a fare. Il più delle volte i pasti erano lo scarto dei banchetti degli ufficiali e degli ebrei superiori in grado (per esempio i kapo).

Dopo poche settimane, con queste razioni da fame, la maggioranza degli internati cominciava a perdere vistosamente peso, ad accusare sintomi di debilitazione, fino a ridursi a scheletri, del tutto inabili al lavoro, e quindi destinati inesorabilmente alle camere a gas.
La sera i detenuti ritornavano nelle baracche; dormivano su un lato per far spazio a tutti, su scomodi e sporchi letti a castello a tre livelli ricoperti di pagliericcio e trucioli che al mattino, dopo la sveglia, andavano raccolti e sistemati in un angolo della camerata.
In tali condizioni uscire durante la notte per espletare i propri bisogni fisiologici corrispondeva a perdere il posto per dormire.
Le pessime condizioni abitative venivano ulteriormente peggiorate dall’umidità del clima di Auschwitz, dall’acqua gocciolante dai tetti, dalle feci che impregnavano i pagliericci, e dall’impossibilità di aprire le finestre nottetempo.
Vermi, ratti e pidocchi imperversavano, difficilmente c’era acqua per lavarsi ed i servizi igienici erano quasi sempre intasati.
L’ospedale del campo era costantemente pieno. Vi erano ricoverati prigionieri infortunati o moribondi, persone afflitte da tifo e scabbia.
Molti addirittura vi finivano per via delle profonde escoriazioni causate dagli zoccoli troppo grandi o troppo piccoli che, durante le marce, provocavano lacerazioni difficilmente rimarginabili. Coloro che non davano più speranza di guarigione erano destinati alle camere a gas, oppure subivano letali iniezioni di fenolo al cuore.
L’uso della violenza era una pratica quotidiana, l’obiettivo dei nazisti era di annullare la personalità dei loro prigionieri, di umiliarli, offenderli e tormentarli fino al punto di farli sentire inumani, sbagliati, inutili, facendo così cadere l’individuo nell’angoscia più totale.
E’ facile capire perchè i pochi sopravvissuti alla vita nei lager non siano più riusciti a riprendersi totalmente la loro vita, tormentati costantemente da profonde crisi esistenziali, dubbi, diffidenza, incertezze, domande a cui non esistono risposte.
All’interno dei campi era impossibile rimanere uomini, ci si trasformava in bestie. L’egoismo di ognuno era spinto a manifestarsi con maggiore forza, spesso i vincoli di fratellanza scomparivano a tal punto che alcuni prigionieri, pur di ottenere dei minimi privilegi e mettersi in mostra di fronte ai capi, tiranneggiavano e tormentavano i propri compagni.
Questa situazione era impossibile da sostenere mentalmente e fisicamente ed è per questo che molti detenuti, pur di salvarsi dalle innumerevoli torture e dalla loro spregevole quotidianità, preferivano suicidarsi gettandosi contro il filo spinato, restando fulminati all’istante.
FONTI:
- https://www.mosaico-cem.it/wp-content/uploads/2013/01/Vita-nei-lager.pdf
- http://www.sansepolcroliceo.it/olocausto/Persecuzione_Repressione/Condizione_prigionieri_Auschwitz.html
- Auschwitz, il campo nazista della morte, Edizioni del Museo Statale di Auschwitz- Birkenau 2001, traduzione di Salvatore Esposito
- www.auschwitz.org